“Lo Zen, l’Arco, la Freccia. Vita e insegnamenti di Awa Kenzo” di John Stevens, pubblicato da Edizioni Mediterranee, è considerato, per chi desidera avvicinarsi allo studio e alla pratica del kyudo, il secondo testo fondamentale, dopo quello di Herrigel.
Anche se i concetti espressi sono gli stessi, la differenza tra i due è che il primo, quello di Herrigel, è il resoconto di un’esperienza diretta, in prima persona, di un corso; quest’ultimo invece, essendo scritto in chiave di lettura “storica”, dà più ampio respiro a particolari un po’ “tecnici” e “filosofici” che il primo testo non presenta, lasciando libere interpretazioni sull’argomento.
Tralasciando un inutile riporto del testo, di Awa Kenzo (1880-1939), famoso per essere stato il maestro giapponese di Eugen Herrigel, autore de “Lo Zen e il Tiro con l’Arco” , lo scrittore statunitense John Stevens, istruttore di arti marziali a sua volta, ne esprime la saggezza, raccogliendone gli insegnamenti più significativi; in questo contesto arco, freccia e bersaglio diventano strumenti grazie ai quali è possibile accedere a piani più profondi di comprensione di se stessi e dell’universo.
Ma gli strumenti non sono impiegati come mere metafore per un obiettivo spirituale da raggiungere; quest’ultimo piuttosto è inscindibile dal corretto ed efficace uso degli strumenti stessi, in una perfetta unione di tecnica e spirito; il quale è inteso sì come zen, ma non prettamente nel senso di meditazione formale, bensì come correttamente puntualizza Stevens, nel senso di integrazione della realtà.
In dettaglio, all’interno di questo testo vi sono tre punti fondamentali, oltre a quello già espresso, gli altri due sono:
Stevens spiega lo spirito del combattimento orientale, che difficilmente viene compreso da chi ha una formazione esclusivamente razionale e tipicamente occidentale, infatti è segnalato lo sbigottimento che provavano allievi medici o ingegneri a fronte della dottrina del maestro; è, in parole brevi, l’eterno dilemma del significato e della forma, concetti che svantaggiano l’Occidente in quanto certi principi risultano impraticabili per la mentalità.
Nell’edizione italiana del testo viene accennata l’esperienza di un cultore italiano della disciplina, il quale ha dato vita prima all’Accademia Romana Placido Procesi, poi all’Associazione Italiana per il Kyudo: ufficialmente riconosciuta, essa si avvale per l’insegnamento di un Manuale del Kyudo rilasciato ufficialmente dalla Federazione Internazionale giapponese (I.KY.F.).
Il manuale consta di quattro volumi, ne è stato tradotto solo il primo, si è tuttora in attesa del consenso per gli altri, per ulteriori informazioni rivolgersi al sito dell’associazione (https://www.associazioneitalianakyudo.it/).
Per concludere, questo libro non è l’unico sull’argomento, anche se tra quelli in cui mi sono personalmente imbattuta finora, è il più esauriente; ne consiglio la lettura proprio per l’approfondimento sul personaggio di Awa Kenzo, un soggetto realmente esistito e a dir poco particolare e non solo come insegnante.
A cura di Samantha Sisto